la mia Cronaca di un Disastro – Valtellina 87
Erano giorni di continue piogge quel luglio.
Anche il Lago di Como , dove vivo, ed i suoi immissari vari, erano già al limite della capienza, ma il cielo continuava a scaricare acqua di continuo.
Questo fu dovuto anche ad una serie di “fortuite” circostanze ambientali meteorologiche susseguite nei giorni precedenti.
La mia avventura e la mia esperienza nella fotografia di cronaca penso si possa definire nata in quel momento, nonostante facessi della fotografia la mia professione da qualche anno, quella mi piace ricordarla come una scuola di reportage , come una lunga catena di emozioni contrastanti , che mi insegnarono come muovermi in situazioni di quel tipo e non solo, come rapportarmi con i coordinatori delle emergenze , con le forze dell’ordine ed i soccorritori impegnati nei salvataggi, con la Prefettura ecc..
Mi insegnò, la Valtellina 87 , come possa cambiare in poche ore la vita delle persone , la fierezza di chi aveva parso tutto o quasi ma che ti offriva un panino, che c’erano lacrime che potevano uscire dai volti di adulti provati dagli eventi esasperanti, che a volte è meglio ritrovarsi in un letto d’ospedale con una benda che ricopre la testa piuttosto che essere rimasto sotto la macerie di un albergo crollato o sepolto sotto metri di fango che nessuno può nemmeno più immaginare dove mai sia il tuo corpo.
Quello avevano visto i miei occhi in quei giorni di luglio, elaborato poi, in seguito, ed ancor oggi quando penso a quella “scuola” che per altri fu una tragedia , la vivo con grande rispetto, riconoscenza, un momento di crescita per me importante.
I primi giorni salivo e scendevo da Morbegno a Sondrio , sino a Bormio , e su e giù… sui mezzi anfibi dei Vigili del Fuoco , addentrandoci in quei prati ai bordi della SS 38 che erano diventati paludi, laghetti, per andare a soccorrere le persone che stavano in qualche casa isolata in mezzo al fango. Altre volte a bordo di Elicotteri dell’Esercito osservavo dall’alto l’immensa forza della Natura che si era ribellata all’avidità ed alla sfrontatezza di alcuni uomini, mentre si portava viveri e materiali di prima necessità agli sfollati dell’alta valle , a Sondalo .
Ed alcune ore prima della Frana della Val Pola che seppellì Sant’Antonio Morignone , ero lì , e mai più avrei immaginato che da lì a poco quel “sentiero” rimasto tra le macerie già del fango alluvionale , sarebbe anch’esso sparito per sempre. Mai più avrei pensato in quel momento che i miei piedi stavano camminando là dove, dopo poche ore, sarebbe scesa a valle un’intera montagna .
Aggregato ad un’ultima spedizione di soccorsi speravamo di “non trovare” dei dispersi che potevano essere rimasti sotto le macerie dopo che l’Adda , aveva portato via la SS 38 e le auto in transito.
In effetti non era ben chiaro in quel momento, a nessuno, se vi fossero ancora auto (o meglio carcasse) e persone, in quel tratto, quando avvenne, il primo disastro, l’alluvione.
In alcuni punti non c’era nemmeno questo “sentiero” improvvisato e, come già ricordai in questo scritto nel 2011 , trovammo una scala tra le macerie e la appoggiammo all’interruzione (improvvisa) del nostro sentiero, per poter scendere (con la scala) alcuni metri in verticale, che ci avrebbero portato nuovamente su una via un poco meno impervia, su un dislivello inferiore. Una breve calata di alcuni metri su una corda, senza imbragatura, per raggiungere poi questa scala appoggiata alla parete di terra, poi di nuovo a piedi.
Fu così, un po’ di continuo quel giorno. Giù sino a Le Prese, prima di Sondalo.
Alla fine non trovammo cadaveri, solo rottami di auto sepolte sotto sassi e pezzi di tronchi piovuti dalle valli laterali e trascinati dall’Adda . Ma catturai dei momenti che mi rimasero per la vita.
Arrivammo a Le Prese un po’ esausti ma lì, appunto, come scrivevo sopra, qualcuno ci offrì qualcosa per ristorarci, alla buona, quello che avevano, quello che era rimasto.
Fu strano, noi eravamo lì per cercare di aiutare la popolazione coi soccorsi (io a raccontare con la mia professione e passione per far conoscere la situazione a chi avrebbe visto in seguito le mie immagini sui quotidiani prima, su riviste o enciclopedie poi), loro, i residenti rimasti lì, che non avevano più molto, offrivano a noi del cibo.
Tra questo e quello che successe poche ore dopo…
Qualcuno poi (negli anni) raccontò di tragici susseguirsi di segnali catastrofici, di alberi che si muovevano, di fessure da un giorno all’altro sul monte Coppetto sopra Sant’Antonio, Aquilone e Cepina , in Valdisotto .
Gli eventi infatti precipitano, anche se per andare a fondo di tutto dovrei scrivere più di questo articolo. Una mattina dopo il Monte Coppetto era franato! Venuto giù! Sant’Antonio Morignone non c’era più!
Io, il mio amico e collega Antonio Mascaro con me in quei giorni, i soccorritori, l’avevamo scampata bella durante quella “ultima spedizione “.
La seconda parte della storia della Valtellina 87 (dopo il crollo in val Tartano , dopo l’alluvione su l’intera valle da Morbegno a Bormio), parla quindi del dopo Frana della Val Pola .
Fortunatamente il tempo aveva mollato un po’ la presa, smettendo di accanirsi sulla Valle.
Dal 28 di Luglio sino a fine Agosto i problemi principali ed urgenti erano cambiati. La frana del Coppetto aveva creato una sorta di sbarramento, una diga naturale che bloccò il flusso del fiume Adda e creò quello che venne chiamato allora il lago della Val Pola .
Del tutto instabile ed insicuro ogni giorno si riempiva e si gonfiava di acqua, divenendo sempre più ampio e profondo.
La Valle intera rischiava una seconda alluvione ben più catastrofica se il “tappo” avesse ceduto improvvisamente (uno di quei giorni) liberando l’acqua del laghetto che avrebbe trascinato giù per tutta la valle detriti, fango, ogni cosa sul percorso.
Ma non si poteva fare molto. La zona era ancora instabile, i geologi non erano ancora certi sul da farsi e studiavanoo la situazione, e la politica, anche quella, non sapeva certo meglio dei geologi da che parte girarsi.
Ricordo che la zona venne completamente chiusa, off-limits anche per la stampa. Così giornalisti, fotografi, cameramen, si ritrovarono da una sorta di postazione, uno spazio montano sul lato opposto e più a sud della frana, ad osservare nelle settimane a divenire il procedere dei lavori sulla frana ed il suo evolversi.
I vertici tecnici e politici avevano deciso di inviare squadre che giù, giù al limite della frana, avrebbero tentato di creare, nel tempo, una tracimazione assistita del lago, mettendo “in sicurezza” (sperando) la zona intorno. Un lavoro a rischio per questi operai che dovevano essere sempre pronti a scappare se gli osservatori tecnici, geologi, avessero notato altri movimenti sul fronte della montagna, o ciò che ne restava.
Vigeva un’incertezza totale che trapelava ovunque. Nessuno, nonostante i calcoli, aveva la sicurezza di come sarebbe finita.
Ci trovammo in un discreto numero di reporter la domenica del 30 agosto , tutti con gli obiettivi puntati su quella punta di lago che stava (dopo molto tempo) tracimando. Non eravamo molti i primi giorni di alluvione a lavorare tra il fango , e di ciò ne porto un vanto. Ma ormai, la notizia era sulla stampa da oltre un mese e quel giorno c’erano tutti: la RAI ovviamente, i maggiori quotidiani nazionali, i periodici di attualità, l’Ansa e molte altre agenzie di stampa, diversi indipendenti freelance come me e Antonio.
Cosa sarebbe successo da lì a poco?
Quando l’acqua del lago naturale avrebbe cominciato a far pressione in quel punto dove era prevista la tracimazione, le pareti del lago, che non dimentichiamo, erano costituite da terra franata e sassi, avrebbero tenuto o ceduto? Si sarebbe aperta un voragine? Si sarebbero create altre infiltrazioni distanti dal punto previsto che avrebbero fatto saltare gli schemi previsti?
La tracimazione “controllata” sarebbe stata davvero controllata oppure la forza dell’acqua passando in un unico imbuto avrebbe trascinato via tutta la pseudo diga provocando un’alluvione paurosa sul resto della valle sino al Lario?
La storia la sapete già.
La Valtellina non dovette subire un’ulteriore accanimento delle forze naturali e quella domenica di attesa finì con una tracimazione che portò, in modo regolare nelle settimane successive, lo svuotamento del lago ed una sorta di ripristino (in qualche modo) dello scorrimento del fiume Adda .
Si continuò a lavorare con le ruspe per i mesi dopo, per “sistemare la zona”, più lontano dagli eco mediatici, si cominciò a progettare e lavorare per il ripristino della Sondalo-Bormio , ovvero della Statale 38 dello Stelvio che, era scomparsa.