18 luglio 1987
Alluvione Valtellina – frana della Val Pola
1a parte
Premessa: Il il racconto narra di quel 18 luglio 1987 a seguire; scrissi questo ricordo lo scorso anno, nel 2011, come riporta la data all’inizio dello stesso; lo pubblico quest’anno a 25 anni di distanza dall’evento.
Menaggio, giovedì 28 luglio 2011 h 14,58 studio
18 luglio 1987
Alluvione Valtellina – frana della Val Pola
Premessa (18 luglio crolla albergo in val Tartaro)
A distanza di anni il ricordo di quel (domenica su lunedì) 19 notte e 20 luglio è ancora vivo nella memoria di chi, in qualche modo, ha vissuto quei giorni, poi divenuti settimane ed infine un mese.
Era la sera ormai notte di un lunedì estivo, ma la pioggia di quei giorni ed in particolare di quella scesa durante tutta la giornata poco ricordava l’estate.
I temporali e le persistenti piogge di questo luglio 2011 sono nulla rispetto a quei giorni.
Le prime notizie verso sera cominciavano ad uscire dalle agenzie e da alcuni TG.
Decisi quindi di prendere il 112 di mio padre (Autobianchi A112) e di andare a Morbegno a vedere cosa esattamente stava succedendo.
Già sul ponte dell’Adda nei pressi dei Pian di Spagna avevo incontrato i primi uomini e mezzi dei Vigili del Fuoco, che con le cellule fotoelettriche cercavano di capire se il ponte fosse a rischio crollo o meno.
Quando giunsi a Morbegno mi ritrovai poi bloccato (come tutti) dall’acqua che invadeva il rettilineo sotto Talamona, quello che porta verso Sondrio, sulla SS 38.
Feci qualche scatto, i primi di una lunga serie a seguire. Non saranno i migliori scatti di quella vicenda ma mi ricordano sempre quel momento.
Quella notte continuò l’Adda ad uscire dagli argini in più e più punti. Io rientrai a casa quella notte. Il mattino successivo la visione era indescrivibile.
Nei giorni successivi e per diverse settimane, io ed il mio collega ed amico Antonio Mascaro, tornammo varie volte in Valtellina. La percorremmo su e giù con ogni mezzo di fortuna. Imbarcati su elicotteri militari di trasporto truppe impegnati a trasportare viveri e generi di conforto alla gente rimasta senza nulla, ai profughi concentrati all’ospedale di Sondalo; altre volte salimmo su elicotteri più piccoli sempre dell’esercito, oppure sui mezzi anfibi dei Vigili del Fuoco che arrivavano da ogni parte d’Italia. Questi erano gli unici mezzi che potevano entrare sia nel fango che nelle zone completamente allagate. Una volta rischiammo di restare (proprio con uno di questi mezzi) impantanati in un prato nel tentativo di raggiungere una cascina dispersa per vedere se vi era ancora qualcuno.
Con qualsiasi mezzo ci spostavamo una cosa era certa: si sapeva vagamente la destinazione ma non quando e come tornare (visto che alcuni spostamenti erano in pratica di sola andata). Ma di questo non ci preoccupavamo perché la passione per questo nostro “lavoro” va spesso al di là del comune ragionare e ti porta sovente a mettere davanti a tutto la notizia; ma, celato dietro ciò, vi è una voglia estrema di conoscere, di vedere, di non accontentarsi di quello che dicono, di poter raccontare, di confrontarsi con la vita reale.
Scattammo tante immagini in quei giorni; rullini e rullini di pellicola 35 mm che venivano sostituiti quasi come cambiare i caricatori di un’arma.
Dall’alto i prati sembravano enormi distese di acqua marrone, in alcuni casi solo lo spuntare di un tetto o di una parte di capannone lasciava intuire che vi era una strada nei paraggi.
Da giù, da terra, o meglio, dal fango, la visione era forse peggio. Qualcuno piangeva fuori dal recinto di casa impossibilitato a rientrarci, altri con stivali sui piedi ed un secchio di fango nella mano, uscivano da abitazioni per svuotare il contenuto in qualche posto o su qualche mezzo.
La Valtellina era in ginocchio, anzi, era forse più sdraiata col volto nel fango, così come si sdraia un albero trascinato via dalla forza dell’acqua.
Arrivavano i volontari di tutte le età ed da tutta la nazione. Giovani in tuta arancione della Protezione Civile che lavorarono giorni e giorni in soccorso di questa gente e di questa terra.
Un dì riuscimmo ad arrivare nel punto più a nord del disastro, a Sant’ Antonio Morignone.
Lo scenario cambiava ancora perché lì l’Adda aveva trascinato giù per il letto, e fuori, massi, oltre al fango.
Argini crollati, indefiniti, strade scomparse nel vuoto di un dirupo, cumuli di detriti coprivano quasi tutto il resto.
Insieme alle forze dell’ordine, volontari, militari, una volta scesi dall’elicottero che ci aveva trasportato, cominciammo a scendere con destinazione Sondalo.
La situazione era molto critica perché vi era la possibilità di qualche ulteriore smottamento dal monte Coppetto, che sovrasta/va S.Antonio Morignone.
Seguivamo questa squadra che stava cercando una possibile dispersa ancora sotto le macerie. Camminammo per ore sopra i sassi, scendendo con mezzi di fortuna (anche una scala ricordo) pareti di terra di una decina di metri in punti dove ogni percorso era scomparso. Ogni tanto sembrava di intravedere qualcosa poi, nulla, era solo qualche carcassa di autovettura o niente di più.
Potremmo dire che non trovare nessuno fu una fortuna. Di sicuro però la fortuna l’ avemmo noi, anche se in quel momento non ce ne rendevamo conto.
Riuscimmo ad arrivare a Sondalo sani e salvi e proseguire il nostro reportage.
Tre giorni dopo capimmo realmente che avevamo rischiato la vita!
Una frana dalle dimensioni inaudite ed impreviste si era staccata dal monte Coppetto, era la frana passata alla storia come quella della Val Pola.
Sant’Antogno Morignone e Aquilone, i posti dove solo qualche ora prima io, Antonio e tutti coloro della squadra di ricerche eravamo passati, distrutti e sepolti completamente per sempre da metri e metri cubi di fango e roccia.
La storia non finisce qui. Ci sarebbe da raccontare e ricordare delle settimane a seguire della frana, dell’attesa del riempimento del lago “artificiale” o “naturale” della Val Pola, della domenica della tracimazione passata con pazienza sulla montagna di fronte ad osservare i passaggio dell’acqua lungo il nuovo letto.
Ma oggi mi fermo qui. Magari più avanti parleremo anche del resto.
Ho scattato moltissime fotografie di quel reportage che mi ha insegnato molto, sia tecnicamente, che umanamente.
Purtroppo (o per fortuna) è tutto materiale in pellicola, un po’ la pigrizia ed un po’ il tempo che fugge sempre non l’ho ancora scansito, quindi per adesso non posso mostrarvelo. Scusatemi.
Ma tempo fa ho trovato in rete un video, quindi se volete, potete guardare quello in attesa che mi venga un’improvvisa voglia di fare le scansioni di quei momenti in 35 mm.
© Giovanni Salici
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